La
crisi richiede velocità di azione
Di
Carlo Pelanda (28-10-2008)
Caro
Esarcato, la quantità di brutte o buone notizie economiche nel prossimo futuro
dipende dalla capacità di gestione della crisi da parte dei
governi e delle autorità monetarie. Valutiamola.
Prima vediamo dove è arrivata la crisi. Due
diverse crisi si sono fuse, amplificandosi a vicenda a livello globale. Il rialzo del prezzo del petrolio e dei beni
alimentari dal 2005 in
poi ha innescato una tendenza recessiva, per la
restrizione monetaria ed il drenaggio di capitale, già alla fine del 2006. Nel
2007 il costo del denaro crescente ha fatto esplodere la crisi finanziaria globale con epicentro in America. Questa, nell’estate del
2008, si è trasformata in crisi bancaria ed in congelamento del mercato
finanziario. Le Borse sono crollate perché sono l’unico mercato in cui chi ha
bisogno di liquidità può ottenerla vendendo qualcosa. Ma
la caduta dei valori azionari, pur spettacolare, non deve preoccupare in quanto
è un’anomalia contingente. Il problema principale, invece, è che in America ed
Europa la crisi bancaria sta amplificando quella recessiva e viceversa. Il
resto del mondo è in ginocchio per la caduta dell’export verso le recessive
America ed Europa e/o per la caduta dei prezzi delle materie prime. Siamo qui.
Cosa andrebbe fatto
in America ed Europa per accorciare e minimizzare la crisi? Tre
cose, contemporaneamente e subito: (a) taglio delle tasse su imprese e famiglie
affinché le prime tengano l’occupazione e le seconde aumentino i consumi; (b)
riduzione ai minimi del costo del denaro per fluidificare il credito e tagliare
i costi dei debiti/mutui; (c) dare alle banche il giusto capitale affinché lo
immettano nel mercato. In America ce ne è
una quarta prioritaria: interrompere la
caduta del mercato immobiliare e far finire le insolvenze dei mutui, il cui
regime è diverso da quello in Europa. Come si stanno comportando i governi e le
Banche centrali? In America il costo del denaro è minimo, gli stimoli fiscali
forti e gli interventi diretti di spesa pubblica
d’emergenza pragmatici. Lì hanno mollato tutti i cordoni della borsa e,
probabilmente, l’economia statunitense sarà in grado di uscire dalla recessione
a metà del 2009. Tale scenario potrà essere confermato quando e se il mercato
immobiliare si riprenderà. Gli europei sono stati veloci nel salvare le banche,
sono lentissimi e perfino riluttanti nel tagliare le tasse, la Bce
è sorprendentemente – per il crollo del rischio di inflazione
a 18 mesi - lenta nel tagliare i tassi. Pertanto nell’eurozona
la recessione/stagnazione durerà di più. L’Italia è messa peggio di Francia e
Germania perché l’enorme debito riduce lo spazio di bilancio per abbassare le
tasse o aumentare la spesa pubblica di sostegno. Per questo ha l’assoluta
necessità di un velocissimo taglio del costo del
denaro e della ripresa del credito. La
Bce taglierà, ma,
si teme, poco e tardi. Le banche italiane dicono di non avere problemi.
Certamente non sono a rischio di fallimento, ma molte stanno riducendo il
credito. Ciò è prova che stanno usando i soldi per
coprire perdite o debiti e ne hanno di meno per i clienti. Quelle che hanno
soldi, le più “territoriali”, non riescono a colmare il vuoto lasciato da
quelle in pur relativa difficoltà. In conclusione, servono due azioni urgenti:
(1) taglio immediato dei tassi di almeno il 2%; (2) il governo entri con
capitale integrativo d’emergenza (20 miliardi già messi in riserva per lo
scopo) nelle banche che non vogliono svelare i loro problemi per paura che una ricapitalizzazione cambi poteri
degli azionisti ed i manager. Se ciò non verrà fatto
dovrò commentare notizie veramente brutte.
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